GABRIELE LO IACONO
Psicologo Psicoterapeuta

Che cos'è il senso?

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Spesso affermiamo che una cosa ha senso e un'altra non ne ha o ne ha poco. Altre volte ci chiediamo quale sia il senso di un fatto o una situazione.

La questione mi incuriosisce principalmente per due motivi. Il primo, più banale, è che mi pare che propriamente la questione del senso dovrebbe porsi più che altro per le parole, le proposizioni, i testi. Si tratta della questione della semantica. (Non che la questione sia semplice!)

Il secondo motivo è che la questione del senso diventa molto importante quando una persona avverte nella propria vita una mancanza tanto grave da sentire di non poter andare avanti e da chiedersi se valga la pena proseguire e come eventualmente farlo. Qui sono in gioco il "senso della vita" e il "bisogno di senso".

Sul problema del senso della vita, si sa, si sono concentrati i filosofi cosiddetti esistenzialisti nonché psicologi come l'ebreo viennese Viktor Emil Frankl, deportato in un campo di concentramento, e l'ebreo americano Irvin Yalom.

Qui non voglio entrare nel merito delle teorie filosofiche o psicologiche sul senso della vita umana (né della vita in generale), ma solo riflettere brevemente su frasi che abbiamo nelle orecchie e nella mente tutti i giorni e cioè sull'uso che si fa di espressioni come "ha senso/non ha senso". Questo potrebbe servire a comprenderle e indirizzare meglio l'eventuale "ricerca di senso".

Quello che farò, in pratica, è tradurre in altre parole alcune affermazioni comuni, ed emblematiche dell'uso della parola "senso", per capire diversamente di che parlano, e semplificare le problematiche comuni sottostanti.

Purpose e meaning

Partirei da una prima constatazione: nella lingua inglese, per parlare di senso vengono usate, in modo più o meno intercambiabile, due parole di significato abbastanza diverso, che spesso vengono usate insieme, una accanto all'altra: purpose and meaning.

La prima, purpose, sta per fine, scopo, meta, obiettivo. Essa presuppone che si agisca, e si viva, forse!, in vista di uno stato futuro di qualche tipo. Il problema del purpose della vita, o della propria vita, è il problema degli obiettivi che una persona o un gruppo si dà e degli obiettivi connaturati alla vita stessa, cioè la meta verso cui tendono gli istinti e le pulsioni umane animali.

Chiaro che non è sempre facile darsi degli obiettivi soddisfacenti, come non è affatto facile dare soddisfacimento alle proprie pulsioni continuando al contempo a rispettare le regole del vivere civile, della legge e della propria, eventuale, morale. Diamo in qualche modo per scontato che nel progetto generale della vita abbia rilevanza la nostra soddisfazione, il nostro stare bene o male. Cerchiamo di individuare un progetto finalizzato di questo tipo di cui noi saremmo parte.

La parola meaning rimanda invece a ciò che ho già accennato sopra. Il bisogno di meaning per la propria vita è molto più sfuggente e misterioso. Il meaning, per il dizionario Cambridge, è "the sense in which a statement, action, word etc is (intended to be) understood" (il senso in cui una frase, un'azione, una parola ecc. viene, o dovrebbe essere, compresa).

A parte la circolarità della definizione, che chiama in causa il sense (senso), qui apprendiamo che ha meaning ciò in cui si trova una misteriosa e giusta corrispondenza tra un atto (linguistico o no) e la sua comprensione. Chi stabilisca se tale corrispondenza vi sia oppure no, non viene detto.

Qui siamo davanti a un mistero. Che cos'è il significato? Significato può essere inteso come participio passato del verbo significare, usare segni. E che cosa significano i segni? Il loro significato. Sembra che anche qui la lingua tocchi i suo limiti, se, ignorando la lezione "secondo Wittgenstein", ci ostiniamo a cercare i referenti linguistici.

Un altro mistero è perché degli atti debbano avere un significato, anche qualora non siano atti volti a comunicare. Vero è, d'altra parte, che come osservarono Jackson, Beavin e Watzlawick nella Pragmatica della comunicazione umana, è impossibile non comunicare. Ogni atto o omissione rivela qualcosa. Però questo assioma vale dal punto di vista dell'osservatore/ascoltatore, mentre nella definizione del Cambridge non è chiaro chi debba giudicare se la comprensione dell'atto sia corretta oppure no.

Questo assioma della Pragmatica ci ricorda che l'essere umano ha una particolare propensione a cogliere informazioni da ciò che ha intorno. Non solo dall'agire degli altri umani, ma probabilmente da tutto ciò che può avere un'implicazione per sé e per i propri scopi.

In ogni caso, se stiamo alla definizione del Cambridge, per parlare di meaning ci vuole un agente intenzionale. Quando ci chiediamo qual è il senso della vita, quale agente è in gioco? Qual è l'agente che con la vita intende qualcosa? (Questo intendere, però, non è un intendere di quelli che valgono nella comunicazione. Più che un intendere è un semplice tendere verso.) Verrebbe da rispondere "Dio" o da chiamare in cause forze naturali. Siamo sicuri che questo eventuale agente voglia o possa essere inteso da noi esseri umani?

La domanda "qual è il meaning della nostra vita" potrebbe essere intesa così: verso quale meta finale tendono le forze che sorreggono la nostra vita? Ma perché noi dovremmo "capirlo" e come dovrebbe essere inteso questo capire? Non sarebbe comunque un capire secondo i parametri umani del capire? E che cosa ci dice che questo capire umano possa essere qualcosa di più di un semplice smettere di domandarsi perché si è soddisfatti di ciò che ci si risponde o perché è passata l'urgenza del domandarsi per capire?

Vediamo ora qualche espressione comune.

“Non ha senso continuare a cercare i dispersi, lasciamo perdere”

Qui "non ha senso" significa è inutile; non può dare i frutti che speriamo, non arriveremo mai all’obiettivo che ci eravamo prefissi, non troveremo quello che stiamo cercando. La ragione e l’esperienza ci dicono che quello che cerchiamo non può essere qui. Qui non può esserci. Oppure qui abbiamo già controllato e ricontrollato. Oppure, se anche fosse qui, ormai non sarà nello stato in cui lo vorremmo (il ragazzo disperso che stiamo cercando sarebbe già morto, dopo 10 notti all’addiaccio in pieno inverno). È troppo tardi.

“Ascoltami, non ha senso proseguire questa relazione”

Non riusciremo mai ad arrivare allo stato di cose che io vorrei o che noi vorremmo o che tu vorresti, né a uno stato ideale presunto, implicito. Non ci capiamo. O continuiamo a litigare. O non posso darti il figlio che vuoi (o non puoi darmi il figlio che voglio). Non stiamo mai insieme. Ogni cosa che faccio, per te è sbagliata.

“Io protesto: non ha senso dire X e poi fare Y”

Qui è in gioco la coerenza, un non-senso simile a un non-senso logico. Se ci fosse un rapporto logico tra il dire e il fare (o tra il credere e il dire o tra il credere e il fare), uno dei due negherebbe l’altro. "A" non può essere uguale a "non-A".

“Non ha senso che tu continui a…”

Questo può voler dire semplicemente che non ho intenzione di accettarlo o tollerarlo, come nel caso di “Non ha senso che tu continui ad arrivare in ritardo/fare una cosa molesta o eticamente scorretta”. O può voler dire che quello che tu ti ostini a fare non ti porterà al risultato che speri, quindi è inutile. O può voler dire che quello che fai è eticamente sbagliato, non è buono.

“Qual è il senso della vita?”

Vorrei vivere la vita come se fosse una MISSIONE, ma non ne trovo una che abbracci l’intera vita. O una che io sia capace di svolgere. O una che io sia disposto a svolgere. O una che io possa svolgere volentieri. O una che sia accompagnata da piacere o benessere sufficientemente costante (per le mie necessità); o che escluda la sofferenza. Oppure: ho trovato una missione, eppure sento che non è abbastanza. Rispetto a cosa? La nostra missione, se c’è, può sembrarci poca cosa rispetto alla fatica e alla sofferenza che dobbiamo sopportare. “Proseguire la specie umana” - con tutto l’odio che ho per il genere umano?! “Rimettersi alla volontà di Dio” - ma qual è la volontà di Dio? Come interpretarla? Qual è la REGOLA o l’insieme di regole da seguire?

“Vivere non ha senso, la mia vita non ha senso”

“C’è troppa sofferenza; non vale la pena”. “Non ho ottenuto ciò che reputo essenziale (e mi sono perso d’animo; mi sono disperato)”. “Quello che avevo costruito è andato perso”. “Ciò in cui avevo creduto si è rivelato illusorio, falso”. "Non riesco a comprendere il disegno generale di cui faccio parte, se ce n'è uno".

Tre osservazioni generali sulla ricerca di senso

  1. Il “senso”, letteralmente, può essere la direzione (in cui forse è implicita una meta - purpose) oppure il significato (meaning); in questa seconda accezione, ciò che propriamente ha senso è una frase semanticamente corretta. “Questo non ha senso”, potenzialmente in tutti i contesti, significa anche “io non lo capisco” dove capire significa smettere di domandarsi perché se n’è raggiunta una idea ”soddisfacente” (ma che significa soddisfacente? Coerente con le altre conoscenze? Semplicemente: ne “so” abbastanza?)

  2. Mi sembra che quando si sta bene il problema del senso receda in secondo piano o sparisca del tutto. Diventa senz’altro meno urgente. Anche se, per esempio, da ragazzo, dopo avere fatto l’amore in un hotel a cinque stelle con la ragazza che amavo, mentre ero in vacanza al mare in un bel posto, con qualcuno che pagava ogni spesa per conto mio, mi sembrò di avere ottenuto tutto quello che poteva essere desiderabile (ma desiderabile per chi? C’è un’idea di felicità a cui si aderisce acriticamente; deriverebbe dall’ottenere qualcosa nel mondo dei fatti). Sentii che tutto quello era poco. Mi dissi: tutto qua? Rimasi con un senso di “vuoto” e di tristezza inconfessabile. Forse una mancanza di altri scopi - che del resto è facile provare dopo avere fatto l’amore.

Filosofi, poeti e religiosi hanno scritto di questa insaziabilità del desiderio umano, questo non essere mai soddisfatti. Per alcuni religiosi, ciò a cui si tende, in questo infinito cercare, mai pago nella vita terrena, è Dio. Per altri filosofi e religiosi, paradossalmente, è proprio questo “tendere a” che provoca infelicità.

  1. A proposito del cercare un livello accettabile di pace o serenità o appagamento: ci sono periodi della vita in cui non si sa in che direzione cercare. Si tentano varie strade per placare un senso di irrequietudine e di insoddisfazione che porta a dire “la mia vita non ha senso” e a pensare di porvi fine. A volte non si tenta nessuna strada nell’azione, si resta fermi, in pausa, per lunghi periodi. In questo periodi non si riesce a capire, non si riesce a immaginare che cosa potrà dare la serenità di cui si ha bisogno. E questo non riuscire a capire/immaginare viene preso come un segno del fatto che ciò che si cerca non lo si troverà mai. Così si sprofonda nella disperazione. Il bisogno di trovare quel qualcosa diventa ancora più urgente. Ma il fatto che non lo si sappia pre-vedere non comporta che non arriverà. Parimenti altre volte ce lo si figura in modo preconcetto; prima o poi si presenterà invece qualcos’altro al suo posto che avrò lo stesso effetto pacificatore.

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