GABRIELE LO IACONO
Psicologo Psicoterapeuta

Silvina%20Gaudino (Un'opera dell'artista Silvina Gaudino)

Il senso della mancanza di valore personale può essere inteso come delusione o insoddisfazione di sé nelle sue varie gradazioni e può arrivare al disprezzo, al disgusto, alla nausea, all’odio, espresso con parole come “Sono un rifiuto, faccio schifo, non ho alcun pregio, non ho mai combinato niente di buono, ho fatto solo danni, sono sgradevole e nocivo/a, farei meglio a sparire”. O può manifestarsi con un senso di stanchezza, di tedio, di fastidio, di insofferenza verso di sé: “Non ne posso più di me, di sentire i miei pensieri e la mia voce”. Il contrario del senso di mancanza di valore, cioè la soddisfazione di sé, è l’orgoglio, il sentimento della realizzazione e dell'affermazione personale.

La vita richiede di agire in vista dell'autoconservazione e forse persino autoaffermazione. Ma se una persona assume un atteggiamento ostile nei propri confronti, finisce presto per spegnere la propria vitalità. L’autoaggressione dell’individuo ostile a sé può arrivare, con la costanza e l’insistenza, al suicidio psicologico, cioè alla paralisi nel provvedere al proprio bene, o persino all’intraprendenza nel procurarsi il male, con la punizione e l’annientamento di sé. Per provvedere al proprio bene occorre considerarsi – o, meglio, dare per scontato di essere – degni di bene, delle proprie cure, di proporsi agli altri con la propria voce, il proprio corpo, le proprie azioni, le proprie idee. Quando una persona sta bene, né si disprezza e si aggredisce, né si gloria e si autoincensa. Esprime invece la propria vitalità cercando il proprio bene, inseguendo ciò che le piace, cercando per sé, presso gli altri, ciò di cui ha bisogno senza eccedere nel protagonismo e senza censurarsi preventivamente nella previsione di una critica o di un rifiuto (che si è convinti o si teme di meritare).

Io non valgo

Quando può nascere invece il problema della mancanza di valore? In una varietà di situazioni perlopiù riconducibili alle seguenti. Innanzitutto quando si è stati ignorati, trascurati o persino aggrediti verbalmente o fisicamente (anche sessualmente). È come se ognuno facesse proprio il giudizio che, di fatto o presumibilmente, ha dato l’altro, se è arrivato a ignorare, trascurare o aggredire. Anche l’isolamento sociale, per quanto possa essere “scelto”, tende ad avere come conseguenza la carenza di attenzioni positive.

In secondo luogo, quando ci si arrovella su un problema molto importante e, nonostante tentativi insistenti, non si riesce a venirne a capo, ci si sente “incapaci” e da lì può conseguire un senso di disprezzo di sé. Il problema può essere anche quello della ricerca del senso o della via della felicità o della serenità.

Terzo, in un/una giovane, la mancanza di una relazione sessuale e/o sentimentale può dare la sensazione deprimente di non avere valore, come se il senso del proprio valore potesse essere conquistato solo attraverso il rispecchiamento negli occhi amorevoli e ammirati del partner amoroso. Il ragionamento esplicito o implicito “Io valgo se ho valore per qualcuno” si rivela psicologicamente giusto quando la mancanza di una relazione amorosa porta alla depressione e all’avversione per sé stessi. Del resto è attraverso il legame primario di attaccamento con la figura di accudimento, cioè il primo legame di amore, che l’individuo sviluppa il sentimento fondamentale di fiducia in sé e nelle proprie qualità. È difficile che questo sentimento, questa solidità, siano dati una volta per tutte, servono nuove conferme nell’arco della vita. Pertanto il sentimento della propria “consistenza” personale – solidità, fiducia e quindi anche apprezzamento implicito di sé – è per sua natura il riflesso di una relazione positiva e non può essere generato autonomamente dall’individuo dal proprio interno. Da questo pinto di vista il motto, tanto di moda oggi, per cui “bisogna stare bene con sé stessi prima di impegnarsi in una relazione amorosa”, se preso in senso assoluto, è paradossale; non si può stare bene con sé stessi se non si è amati.

Quarto, l’eccessiva concentrazione su di sé porta a vedersi come un problema insolubile, assillante, fastidioso, nauseante. Qui il senso di disvalore personale ha i connotati della perdita di interesse per un oggetto – sé stessi – che si manifesta troppo a lungo con le sue solite caratteristiche, le sue solite mancanze, i suoi soliti problemi.

Quinto, la stagnazione personale, ovvero il fatto di non dedicarsi ad attività e di non conoscere persone interessanti, coinvolgenti, entusiasmanti. In questo modo ci si spegne, si perde di vitalità. Quando una persona non prova interesse per qualche aspetto della vita e delle relazioni, può finire per attribuirsene la colpa: “Sono io che sbaglio qualcosa, che non sono capace di vivere” e a questa considerazione possono seguirne altre che confermano il senso della propria mancanza.

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