Per favore, torna nella tua comfort zone
Una riflessione attuale, nata leggendo la Bhagavadgītā, mentre apprendo notizie di vari performer estremi tragicamente deceduti.
In questo splendido testo di carattere filosofico e religioso, estratto da un immenso poema epico che è stato composto e perfezionato in India nel corso di otto secoli, a partire dal Quarto a.C., le doti militari sono un valore indiscusso. Nella dottrina esposta, l’odio, frutto del desiderio, è sicuramente da combattere, per validissime ragioni; ma alla battaglia e alla sconfitta del nemico non ci si deve sottrarre. L’uomo che è “uguale verso il nemico e l’amico” è caro a Kṛṣṇa, divinità suprema; ciò nonostante Kṛṣṇa esorta così il nobile guerriero Arjuna, “tormento dei suoi nemici”, che è in preda all’angoscia perché si trova sul campo di battaglia all’inizio di un combattimento e preferirebbe morire pur di non uccidere i suoi parenti e i suoi maestri:
Conquista la gloria, trionfando sui tuoi nemici. Godi di un regno prospero. È da me che sono stati dapprima votati alla morte. Siine lo strumento e niente più (Canto XI, 33).
La nobiltà si conquista con il valore militare, e il valore militare dipende dalla forza fisica e dall’intelligenza al servizio della strategia e delle tecniche belliche. Il guerriero invincibile, capo di una stirpe, è un eroe e talvolta un vero e proprio dio. È pieno di gloria. A volte gli dei sono concepiti sul modello di guerrieri invincibili (vedi per es., il Dio degli eserciti dell’Antico Testamento o Kṛṣṇa della Bhagavadgītā) e i guerrieri invincibili sono dei.
Il conflitto tra uomini e gruppi è un dato di fatto scontato; perciò, mors tua, vita mea. Colui il quale meglio sa difendersi, sopravvive. Il valore militare equivale alla sopravvivenza. E la difesa della propria vita è un valore indiscusso: ciò che in ambito scientifico verrà chiamato istinto di sopravvivenza.
Gli sport estremi segnano un passaggio epocale. Il performer estremo che muore mentre pratica il suo sport si immola sull’altare di sé, applaudito da una metà degli utenti dei social in quanto venuto a mancare mentre seguiva la sua passione, mentre faceva ciò che gli dà senso e piacere in un mondo di noia.
Come l’eroe classico, quello moderno è barbuto e muscoloso. A differenza di quello, è tatuato e fa flessioni da solo nel deserto sorseggiando acqua arricchita di proteine. E a differenza di quello, non difende la sua vita, o quella della propria famiglia, ma difende la sua libertà dai propri limiti. In uno strano paradosso, difende il diritto/dovere di rischiare consapevolmente e quotidianamente la propria vita, in quanto propria. E tale diritto è così indiscusso che non può essergli negato il costoso e pericoloso soccorso o recupero della salma in caso di incidente.
Sembra che ai suoi occhi la sua vita valga poco, anzi che valga molto fintanto che, e nella misura in cui, è tratta come cosa da poco. Certamente vale meno dell’ossequio al dovere di farne un’avventura irripetibile da esibire, uscendo dalla propria comfort zone. Egli combatte una battaglia con sé stesso: non sono degno finché non sono disposto a morire pur di dimostrare che non ho limiti. La sua vita non ha senso finché non la mette in pericolo. Ma a che serve questo non avere limiti? Sembra, circolarmente, una disperata difesa della propria stima di sé.
Mi viene un dubbio atroce: che abbia avuto ragione Umberto Galimberti quando ha affermato che - provo a interpretare - una guerra in Europa oggi rimetterebbe la virilità nei suoi canali tradizionali e forse naturali? Che ce ne facciamo di eroi che muoiono combattendo contro sé stessi su una mountain bike? Tutto questa determinazione, questa perizia, questo ardore, questo disprezzo della fatica, del dolore e della menomazione non avrebbero come sbocco naturale il combattimento in battaglia? Altrimenti non restano che un suicidio spettacolare per gli utenti di social o la gloria del Guinness dei primati. Chi è di indole guerriera, oggi, non può vivere senza la guerra. (Io non ho indole guerriera e non potrei fare a meno dei miei cari e dei miei amici. Per me la guerra resta il peggiore di tutti i mali)