GABRIELE LO IACONO
Psicologo Psicoterapeuta

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Che succederà alle professioni intellettuali con ChatGPT? Che ne sarà di traduttori, medici, psicologi, insegnanti, avvocati, programmatori, ingegneri?

ChatGPT è il tuttologo. Come il proverbiale “mona” (cioè coglione) a cui si allude in alcuni bar trentini, lui/lei “sa tutto”; però, mentre il mona pretende di sapere tutto, ChatGPT lo sa veramente, o quasi. Lo sa nel senso che si basa sul sapere espresso in forma di testo e immagini di migliaia di uomini, libri, professioni. Secondo alcune stime, corrisponde quantitativamente all’esposizione linguistica di una persona media moltiplicata per 100.000. Sembra, sottolineo “sembra", rendere inutile lo scambio di sapere con libri e persone. Ma questo scambio può davvero essere ridotto a un mero “travaso” di sapere? O non ha un aspetto relazionale, o vari aspetti relazionali, che danno un valore particolare a questi scambi, un valore umano da definire?

Per esempio, se oggi andare dal medico è un’esperienza tanto deludente, questo accade in gran parte proprio a causa del fatto che il medico è ridotto a un frettoloso distributore di ricette e pillole, che agisce secondo un protocollo, un albero decisionale facilmente riproducibile da un banale programma, trascurando aspetti fondamentali della professione medica, come l'ascolto, lo sguardo, il contatto fisico, la rassicurazione, la calma, il calore umano e via dicendo. Come ha scritto per anni lo psichiatra A.K. Shapiro,* la storia della medicina è la storia dell’effetto placebo, la storia di cure la cui efficacia è dovuta principalmente alla qualità di una speciale relazione.

Quanto alla professione di psicoterapeuta, in un’ottantina d’anni di ricerca sull’efficacia e sul processo della cure attraverso la parola si è scoperto che, più dell’orientamento teorico seguito dal terapeuta e delle specifiche tecniche utilizzate, per il benessere del paziente contano vari aspetti della relazione terapeutica. Al di là delle tecniche, ciò che conta maggiormente sono l'accordo e la collaborazione su ciò che concerne le stretegie, gli obiettivi e i compiti della cura; la fiducia reciproca; il rispetto; il senso di collaborazione. E poi l'empatia, la sintonizzazione emotiva, la coerenza e la flessibilità da parte del terapeuta. La riparazione delle "rotture". Il sostegno alla speranza e alle aspettative positive.

La funzione della scuola, poi, non può certo essere ridotta alla trasmissione, o anche alla promozione, di sapere e saper fare. Per la stragrande maggioranza delle persone la scuola è il primo contesto in cui ci si relaziona con i coetanei e ci si costruisce un’immagine del proprio carattere, un’immagine di sé in relazione agli altri, un modello delle dinamiche sociali che si incontreranno per il resto della vita, un complesso di attese sul futuro e sul proprio ruolo che sono piene di sfaccettature, risvolti e implicazioni che sarebbe vano tentare di contare e catalogare. La scuola è il luogo dei primi amori, delle grandi amicizie e delle ingiustizie e sopraffazioni, punite e impunite, anche da parte di insegnanti. Per molti resta il principale, se non l’unico, contesto in cui è stato possibile avere, per almeno una decina di anni, incontri quotidiani, nello stesso luogo, con decine di persone che resteranno indelebilmente impresse, nel bene e ne male, per il resto della vita.

Anche limitando il discorso al piano strettamente cognitivo (ammesso che esista!), va notato che ci sono varie forme di “saggezza” - concetto diverso da quello di “sapere” e che ha a che fare con un sapere filtrato e corretto attraverso decenni o secoli di esperienza umana - che non possono essere codificate in algoritmi, in quanto si basano su ciò che intendiamo per comprensione umana del senso, qualcosa che ChatGPT non è in grado di riprodurre, perché imita e ripete a pappagallo, senza sapere che cosa fa, come l’asino della classe. E questo è solo uno dei motivi per cui le professioni non sono (ancora) sostituibili.

La definizione dell’umano

Il computer sarà in grado di imitare ogni aspetto umano? La rapidissima e inarrestabile diffusione della cosiddetta intelligenza artificiale rischia di ledere la dignità dell’essere umano? La risposta a domande attuali come queste dipende da che cosa intendiamo per umano.

Nella definizione dell’umano occorre tenere conto del fatto che l’uomo NON sa come comportarsi e per questo si angustia. L’umano è costantemente in conflitto, tra sé e sé e con gli altri. La vita umana si svolge regolarmente nel paradosso, che rende costantemente insoddisfatti.

L’uomo non è affatto l’agente razionale degli economisti, il massimizzatore di utilità o profitto che agisce in base a un calcolo esatto in vista di UNO scopo cosciente. Negli studi che gli sono valsi il primo nobel per l’economia, lo psicologo Daniel Kahneman lo ha dimostrato. Fedor Dostoevskij lo ha raccontato bene, per esempio nelle Memorie dal sottosuolo. E Friedrich Nietzsche, nella Genealogia della morale, ha messo efficacemente in questione il ruolo della razionalità, il suo valore e soprattutto la pretesa che sia una guida neutra, universale e indipendente dalle forze vitali.

A differenza di un computer, l’uomo soffre. Ed è motivato più di ogni altra cosa dall’evitamento del dolore e dalla ricerca del piacere, primo tra tutti il piacere dell’affetto, dell’amore e del sesso - una questione di corpi caldi e umidi e odorosi che si danno e si negano capricciosamente. Ma non ci saranno mai sensori adatti a riprodurre la ricerca del piacere e l’evitamento del dolore (con buona pace degli entusiasti della dopamina e delle endorfine) perché la sofferenza e il piacere umani non dipendono solo dai sensi.

E a volte l’umano soffre atrocemente proprio quando “ha tutto” o quando ha realizzato quelli che credeva fossero i suoi scopi, quando sente il vuoto e la noia, non sa che fare di sé. Se volessimo imitare questo aspetto, dovremmo forse programmare un computer in modo tale che quando ha svolto tutti i suoi compiti (in che senso, allora, “tutti”?) prende fuoco.

L’umano soffre quando si interrompono i legami, anche quelli con persone che, in base alle sue capacità di comprensione, gli stavano rovinando la vita, quali quelli con una madre difficile; i quali legami, rievocati a posteriori attraverso ricordi, odori, luoghi, oggetti, conoscenze comuni, possono trasformarsi in un silenzio, un’assenza, che è presenza, diventando l’unico nesso paradossale che permane e che condiziona nostalgicamente il resto della vita.

Come riproduciamo in un programma per computer il fatto che la memoria non è conservazione di informazioni, ma ricostruzione di scenari, una ricostruzione che tra l’altro varia a ogni ricostruzione successiva in base alle precedenti, come aveva già intuito il mio carissimo Arthur Schopenhauer in Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente e come hanno confermato gli stessi studi di psicologia cognitiva sulla memoria?

Soffre, l’umano, quando si sente inferiore agli altri o alle sue stesse attese. Quando, astraendosi dalla realtà sensibile con la ragione, si proietta in avanti nel tempo e costruisce la vicenda della sua morte o quella dei suoi cari. Quando il suo bisogno di capire è frustrato. E gode l’umano di mille cose, dell’amore, del sesso e della solidarietà, della musica e dell’arte, della bellezza in tutte le sue forme. Del muoversi e sentirsi vivo e capace e utile per altri esseri umani.

Un modello dell’uomo basato sul funzionamento del cervello è profondamente carente in partenza (anche se oggi i sedicenti neuroscienziati, i sacerdoti dell’oracolo della neuroimmagine, sembrano tanto orgogliosi di avere - finalmente! - capito che il cervello è attaccato a un corpo che è in relazione con altri corpi). E lo è ancora di più se per “comprendere “ il funzionamento del cervello, in una circolarità esplicativa, lo si intende funzionante come i computer programmati per imitarlo, come avviene oggi.

Chi si vede come un’intelligenza artificiale, un automa, e lavora affinché gli uomini siano trattati come macchine sostitutibili, merita effettivamente di essere trattato come una macchina sostituibile.

Gallese, Moriggi e Rivoltella (Oltre la tecnofobia, Cortina, 2025), come milioni di altri entusiasti del “futuro” e della tecnologia, non comprendono che cosa sia l’umanità (e tante altre cose) e sembrano ironizzare sull’idea stessa della necessità di fare attenzione a salvaguardare la dignità umana nello sviluppo e nella propagazione delle tecnologie basate sulla cosiddetta AI, ovvero sull’automazione, la scienza al servizio della guerra, la ricchezza di pochi a danno di tutti e la sostituzione dell’umanità.

  • A.K. Shapiro (1963),The Placebo Effect- From the Ancient Priest To the Modern Physician, JAMA,185(3):41–43. doi:10.1001/jama.1963.03060030013010; A.K. Shapiro e Elaine Shapiro (2000), The Powerful Placebo. From Ancient Priest to Modern Physician, Johns Hopkins University Press.

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