GABRIELE LO IACONO
Psicologo Psicoterapeuta

L'animalità è un dovere

Bonobo_WW22141 (Tratto da https://www.wwf.ch/it/specie/bonobo-i-nostri-parenti-piu-stretti)

Ho parlato con una persona secondo la quale non è etico mettere al mondo figli: nella vita prevale la sofferenza, e quindi, dando loro la vita si dà loro sofferenza. Per il bene loro non li si dovrebbe condannare alla sofferenza.

Io ho ammesso che in certe fasi della vita si può avere l’impressione che prevalgano le pene. Che quando leggo Schopenhauer e Leopardi mi persuadono. Ma che non saprei dire se davvero sia complessivamente così: in certi periodi sembrano nettamente prevalere, in altri no. Molti psicologi però ragionano sul fatto che esistono più termini indicanti stati d’animo negativi che positivi e spiegano il valore di sopravvivenza delle emozioni negative così: la sofferenza è un segnale che ci induce ad allontanarci da quello che ci nuoce e ad agire contro ciò che ci ostacola nel perseguimento dei nostri scopi, come anche Aristotele e con lui Max Scheler hanno ipotizzato osservando che

piacere e dispiacere di ogni genere esprimono ciascuno una promozione o un’inibizione della vita (M. Scheler, Il senso della sofferenza, Mimesi, Milano 2023, p. 61).

Forse esaltiamo il peso della sofferenza perché la detestiamo e vorremmo eliminarla, la consideriamo ingiusta oppure, confrontandoci con persone o animali che sembrano soffrire di meno, la vediamo come una conseguenza di un nostro errore, di una tara personale, della nostra incapacità di vivere, e così aggiungiamo sofferenza a sofferenza. Altre volte il mio interlocutore si è lamentato di non provare entusiasmo, quasi fosse un diritto provare entusiasmo passivamente, come condizione naturale, senza in qualche modo procurarselo impegnandosi nel perseguimento di una meta o un’obiettivo.

Prima di osservare il difetto logico del suo ragionamento – un principio etico che porterebbe all’estinzione dell’umanità non può essere valido – ho accennato al fatto che siamo pur sempre animali e che la natura ha disposto che la pulsione umana più potente, quella sessuale, abbia come conseguenza la prosecuzione della specie mediante la nascita di altri umani. E che, una volta venuti al mondo, ancorché senza averlo scelto, o ci congediamo oppure accettiamo le regole del gioco e vi partecipiamo, senza continuare sterilmente a protestare perché il gioco non ci piace.

In un saggio di R. Brigati che sto studiando (Introduzione al cinismo, Clueb, Bologna 2022) leggo proprio oggi una frase di M. Foucault, tratta da Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al College de France 1984, (Feltrinelli, Milano). La citazione comapre in un punto del saggio in cui Brigati esamina il rapporto dei filosofi cinici con l’animalità.:

Per non essere inferiori agli animali, bisogna essere capaci di assumere questa animalità come forma ridotta ma prescrittiva della vita. L'animalità non è un dato, ma un dovere.

I filosofi cinici accettarono di essere chiamati cinici, cioè canini, simili ai cani, e facevano spesso intenzionalmente in modo di essere trattati come tali. I cani, per loro, erano non una specie inferiore, ma un esempio elevato da imitare, essendo i quadrupedi liberi da convenzioni e bisogni superflui, come la ricchezza, lo status, il potere. Il cane ammirato dai cinici non è l’animale domestico a cui pensiamo noi, bensì un randagio che vive all’aria aperta, come loro. Ma è impossibile acquisire semplicemente uno stato animale, osserva Brigati: volente o nolente l'essere umano possiede la ragione.

Punkabbestia Nella foto, un punkabbestia (https://i0.wp.com/www.dogsportal.it/wp-content/uploads/2018/09/Punkabbestia.jpg?ssl=1) Individuo in aperto contrasto con le regole e lo stile di vita della società consumistica, spesso senza lavoro né domicilio stabile, dai comportamenti aggressivi e dall'abbigliamento eccentrico ispirato a quello dei punk inglesi degli anni Settanta del Novecento.

Quanta fatica si fa a essere “semplicemente” animali! Premesso che, com'è stato notato da vari autori, l’idea di ciò che è "animale", in quanto contrapposto a "umano", risente perlomeno di generalizzazioni indebite, della nostra ignoranza delle differenze fra le innumerevoli specie e della nostra impossibilità di comprensione empatica e quindi del nostro antropocentrismo, di solito quando pensiamo agli (altri) animali immaginiamo una semplice armonia interiore: la presunta assenza della ragione, che presuppone concetti e lingua, libererebbe dalla preoccupazione per l’evitamento della sofferenza e dalla cognizione della propria morte certa.

Diamo per scontato che un pinguino, per esempio, a differenza di un aspirante asceta, non si infliggerebbe una punizione dolorosa per avere desiderato di accoppiarsi. Che gli uccelli non si preoccupino se domani avranno da mangiare. Che i cani non pensino che un giorno dovranno morire. E invidiamo i bonobo, che fanno sesso in continuazione un po’ con chi capita. Invece, noi umani, chi più chi meno, siamo segnati da una profonda disarmonia con i nostri impulsi. Ci perdiamo nel tentativo di comprenderli, catalogarli, giudicarli. Pretendiamo di disciplinarli.

Se è quasi impossibile comprendere esattamente che significhi vivere secondo natura o quali siano i piani divini per noi, è certamente impossibile trascendere sé stessi, e non possono essere assunti a principi guida ragionamenti che portano a concludere che la vita umana è un errore della natura.

L’animale umano che sente il desiderio di mettere al mondo un figlio non si fermi davanti a principi etici inconsistenti!

Previous Post