GABRIELE LO IACONO
Psicologo Psicoterapeuta

Psicoterapia e dintorni

Appunti e riflessioni in divenire

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Tutti o quasi scrolliamo ogni giorno i feed di social come Facebook, Instagram, TikTok - anche per ore. Ma siccome ognuno posta di preferenza i suoi lati e momenti migliori, più gioiosi e più avventurosi, più guardiamo contenuti social più ci sentiamo peggiori, tristi e meno avventurosi della massa indistinta de GLI ALTRI. "LORO sono felici, IO no".

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Che cos’è il senso della mancanza del proprio valore personale?

Un senso di delusione di sé nelle sue varie gradazioni che può arrivare al disprezzo, al disgusto, alla nausea, all’odio di sé. Può essere anche un senso di stanchezza di sé, di tedio per se stessi, di fastidio, di insofferenza. Tradotto in parole può suonare come “Sono un pezzo di merda, un rifiuto, faccio schifo, non ho alcun pregio, non ho mai combinato niente di buono, ho fatto solo danni, sono sgradevole e nocivo/a, farei meglio a sparire”. Se prevale la stanchezza di sé, “Non ne posso più di me stesso, di sentire i miei pensieri e la mia voce”.

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Come ha notato la collega Barbara Lamedica, non di rado quando si assiste alla presentazione di un libro e poi lo si compra non ci si trova niente di più di ciò che era stato detto nella presentazione. In questo caso io ho trovato poco di più rispetto alla conferenza di 90 minuti circa di Alessandra Aloisi a cui ho assistito su YouTube. Un poco di più che comunque per me è prezioso.

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Giacomo Leopardi in un disegno di Tullio Pericoli

Giacomo Leopardi in un disegno di Tullio Pericoli

Ho appena ascoltato su YouTube una lezione della filosofa Alessandra Aloisi che mi ha aperto il cuore e che descrive ed esamina un fenomeno di cui ogni lettore può prendere coscienza: nella lettura non è possibile tracciare una distinzione netta tra momenti di concentrazione (sul "compito" della lettura) e momenti di distrazione. Gli uni e gli altri sono entrambi necessari all’esperienza della lettura, non sarebbero neppure immaginabili separatamente.

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Da qualche decennio, appena una persona è ritirata, concentrata su di sé e sulla sua ricerca di senso, dolente nello spirito, si sente chiamare depressa. Odio sentire usare con leggerezza la parola depressione e mi dà ancora più fastidio sentirla usare come se si riferisse a un tratto del carattere. Non posso sentire dire che Pavese era un depresso, Woody Allen è un depresso.

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Sentiamo dire che Tizio non è “se stesso”, o esortare Caio a “essere se stesso”. Sentiamo gli psicologi junghiani parlare della “ricerca di sé” o del “diventare se stessi”, oppure Kierkegaard parlare del potere, o non potere, essere se stessi o altro che se stessi. Inoltre può capitare di sentirsi o non sentirsi se stessi. Di sentirsi falsi o degli impostori.

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